31.5 — 01.09.2024
Val Gardena, Dolomites
a cura di Lorenzo Giusti
Artist list
Talar Aghbashian, Atelier dellʼErrore, Alex Ayed, Nassim Azarzar, Ismaïl Bahri, Yesmine Ben Khelil, Ruth Beraha, Chiara Bersani, Alessandro Biggio, Julius von Bismarck,
Nadim Choufi, Elmas Deniz, Esraa Elfeki, Andro Eradze, Marianne Fahmy, Valentina Furian, Daniele Genadry, Eva Giolo, Shuruq Harb, Arnold Holzknecht, Michael Höpfner, Ingela Ihrman, Nadia Kaabi-Linke, Katia Kameli, Laurent Le Deunff, Linda Jasmin Mayer, Femmy Otten, Sara Ouhaddou, Eva Papamargariti, Diana Policarpo, Janis Rafa, Lin May Saeed,
Helle Siljeholm, Tobias Tavella, Markus Vallazza + Martino Gamper, Karin Welponer.
A cura di Lorenzo Giusti con Marta Papini come curatrice associata
The Parliament of Marmots*
La leggenda dei Fanes - uno dei più affascinanti miti ladini delle Dolomiti, ricostruito all’inizio del XX secolo dallo scrittore austriaco Karl Felix Wolff - racconta le vicende di un popolo mite e pacifico, il cui regno si estendeva oltre le sette montagne, ai confini del mondo. Il segreto della prosperità di questo popolo risiedeva nell’alleanza con le marmotte, di cui i Fanes potevano dirsi discendenti, poiché tra quegli animali - affidata loro dall’Anguana, la ninfa dell'acqua - era cresciuta Moltina, la loro prima antenata.
Quando l’alleanza fu rotta a causa di una principessa vergognosa del patto con gli animali, i Fanes andarono incontro a sventure e conflitti che portarono presto al declino del regno. I pochi superstiti si recarono allora in un antro sotto le rocce, dal quale, ancora oggi, insieme alle marmotte, attendono che suonino le trombe argentate che ne segnaleranno la rinascita.[1]
Le credenze alla base delle leggende dolomitiche hanno radici profonde, che affondano nei tempi della protostoria, nel momento del passaggio dai piccoli gruppi di cacciatori e raccoglitori alle prime comunità organizzate di allevatori e agricoltori. Sono strutture totemiche che raccontano il complesso rapporto di queste società arcaiche con il tema dell’anima, della cui presenza sono pervase tutte le principali entità della natura vivente nella sua dimensione più libera e selvaggia.[2]
Ma cosa significa oggi “essere selvaggi”? Dove possiamo ancora riconoscere una qualche forma di libertà naturale, in un pianeta in cui non esistono più luoghi incontaminati? E quale insegnamento possiamo trarre da queste realtà? Quali spazi le rovine del capitalismo riserveranno alla natura selvaggia? Quali possibilità di vita e quali forme di sopravvivenza? Tutte queste domande hanno orientato il progetto di Biennale Gherdëina 9 e - in modalità, traiettorie e temporalità diverse - il lavoro degli artisti e artiste chiamati a parteciparvi.
Traghettato nel nostro tempo, l’archetipo dell’alleanza con le marmotte apre una riflessione sulla rottura dell’equilibrio interspecie perpetrata dalla civiltà contemporanea. Dall’analisi del nostro rapporto con gli animali non umani possiamo comprendere molto della più generale crisi del patto umano con la natura nella sua interezza, ma anche delle forme di discriminazione, controllo e violenza che affliggono la specie umana al proprio interno. Questo è ciò che sostengono le tesi antispeciste avanzate alla metà degli anni Settanta da autori e autrici come Peter Singer.[3] Tesi che, in tempi più recenti, sono state integrate e rielaborate all’interno di riflessioni filosofiche, nuovi studi antropologici e narrazioni interspecie arrivate ad abbracciare oggi l’intero campo del vivente.
Lo dimostrano le tesi antispeciste proposte da autori come Peter Singer a metà degli anni Settanta, che ancora oggi sono in grado di sfidare profondamente il nostro pensiero.
Nel ricostruire le antiche storie della tradizione orale dolomitica, Karl Felix Wolf attinse alla mitologia nordica - di cui la cultura del suo tempo era permeata, funzionale anche alla perpetuazione del mito imperiale austro-ungarico - perdendo di vista il forte legame di questi racconti con le antiche narrazioni mediterranee. La stessa Dolasilla, principale eroina della saga dei Fanes, che Wolff descrive come una sorta di valchiria conquistatrice, molto sembra avere in comune con la figura di Artemide siderale, la Dea greca della Luce Lunare che appare sotto le vesti della cacciatrice per proteggere la fertilità della natura.
Quelle ladine sono leggende che non parlano di creazioni - di esseri umani o di imperi - bensì di trasformazioni, di metamorfosi e di contaminazioni, celebrando la natura selvaggia, il ciclo “vita-morte-vita” e il rapporto complesso e profondo tra le diverse specie del mondo vivente. Rileggendo i miti da questa prospettiva, le Dolomiti - questi monumentali costoni di roccia riemersi dal mare, questi residui di giganteschi banchi di corallo affiorati 250 milioni di anni fa - da barriera, roccaforte o confine si fanno luogo di incontro, ricucitura e contaminazione.
Sovrapponendo allo sfondo delle antiche leggende dolomitiche nuovi racconti di montagna, di bosco, di migrazione, di animalità e di alleanze interspecie, The Parliament of Marmots abbraccia un campo di indagine che, insieme al continente europeo, si estende fino ai territori mediterranei del Nord Africa e del Medio Oriente, da cui le strutture totemiche alla base degli stessi miti ladini sembrano in massima parte derivare.
Secondo l’antropologa Anna Tsing, la capacità di fabbricare mondi non è prerogativa degli umani, per questo è necessario rivolgersi a modi di fare mondo o modi di esistenza al di là dell’umano. Ciò non significa adottare una prospettiva post-umana - dove l’umano scompare - ma aprirsi al racconto di storie “più-che-umane”, in cui gli umani perdono la propria centralità, nella consapevolezza che nessun organismo può divenire se stesso senza l’assistenza di altre specie.[4]
Cercando di ricomporre una visione possibile di questi mondi, Biennale Gherdëina 9 presenta un mosaico ibrido di proposte artistiche, aprendo alla possibilità di una ricucitura culturale e politica tra Alpi e Mediterraneo, tra origini e prospettive, e deconcettualizzando l’idea di natura a vantaggio di una dimensione narrativa, esistenziale, del selvaggio al tempo del “capitalocene”.[5]
Lorenzo Giusti
[1] Il “Parlamento delle marmotte” è il nome assegnato negli anni Cinquanta del Novecento all’anfiteatro naturale sull’Alpe di Fanes, in Val Badia, dove, ancora oggi, nonostante la presenza umana, vivono numerosi roditori. La regione sotterranea dove, secondo le leggende ricostruite da Wolff, si sarebbero ritirati gli ultimi dei Fanes si trova invece nei pressi del Lago di Braies, nell’omonima valle, laterale della Val Pusteria.
[2] Cfr. Ulrike Kindl, Raccontare le origini, in Nicola Dal Falco, Miti ladini delle Dolomiti. Ey de Net e Dolasìla, Palombi editore, Roma 2012, pp. 199-258
[3] Cfr. Peter Singer, Liberazione animale, 1975, ed it. Il Saggiatore, Milano 2010
[4] Cfr. Anna Tsing, Il fungo alla fine del mondo. Le possibilità di vivere nelle rovine del capitalismo, 2015, ed. it. Keller Editore, Rovereto - TN, 2021
[5] Il termine “capitalocene”, introdotto da Jason W. Moore, è stato adottato da numerosi studiosi come una variante più coerente del termine “Antropocene”, capace di mettere a fuoco l’intreccio storico tra patriarcato, colonialismo e specismo all’origine della crisi ecologica in atto.
31.5 — 01.09.2024
Val Gardena, Dolomites
a cura di Lorenzo Giusti
Lista degli artisti
Talar Aghbashian, Atelier dellʼErrore, Alex Ayed, Nassim Azarzar, Ismaïl Bahri, Yesmine Ben Khelil, Ruth Beraha, Chiara Bersani, Alessandro Biggio, Julius von Bismarck, Nadim Choufi, Elmas Deniz, Esraa Elfeki, Andro Eradze, Marianne Fahmy, Valentina Furian, Daniele Genadry, Eva Giolo, Shuruq Harb, Arnold Holzknecht, Michael Höpfner, Ingela Ihrman, Nadia Kaabi-Linke, Katia Kameli, Laurent Le Deunff, Linda Jasmin Mayer, Femmy Otten, Sara Ouhaddou, Eva Papamargariti, Diana Policarpo, Janis Rafa, Lin May Saeed,
Helle Siljeholm, Tobias Tavella, Markus Vallazza + Martino Gamper, Karin Welponer.
A cura di Lorenzo Giusti con Marta Papini come curatrice associata
The Parliament of Marmots*
La leggenda dei Fanes - uno dei più affascinanti miti ladini delle Dolomiti, ricostruito all’inizio del XX secolo dallo scrittore austriaco Karl Felix Wolff - racconta le vicende di un popolo mite e pacifico, il cui regno si estendeva oltre le sette montagne, ai confini del mondo. Il segreto della prosperità di questo popolo risiedeva nell’alleanza con le marmotte, di cui i Fanes potevano dirsi discendenti, poiché tra quegli animali - affidata loro dall’Anguana, la ninfa dell'acqua - era cresciuta Moltina, la loro prima antenata.
Quando l’alleanza fu rotta a causa di una principessa vergognosa del patto con gli animali, i Fanes andarono incontro a sventure e conflitti che portarono presto al declino del regno. I pochi superstiti si recarono allora in un antro sotto le rocce, dal quale, ancora oggi, insieme alle marmotte, attendono che suonino le trombe argentate che ne segnaleranno la rinascita.[1]
Le credenze alla base delle leggende dolomitiche hanno radici profonde, che affondano nei tempi della protostoria, nel momento del passaggio dai piccoli gruppi di cacciatori e raccoglitori alle prime comunità organizzate di allevatori e agricoltori. Sono strutture totemiche che raccontano il complesso rapporto di queste società arcaiche con il tema dell’anima, della cui presenza sono pervase tutte le principali entità della natura vivente nella sua dimensione più libera e selvaggia.[2]
Ma cosa significa oggi “essere selvaggi”? Dove possiamo ancora riconoscere una qualche forma di libertà naturale, in un pianeta in cui non esistono più luoghi incontaminati? E quale insegnamento possiamo trarre da queste realtà? Quali spazi le rovine del capitalismo riserveranno alla natura selvaggia? Quali possibilità di vita e quali forme di sopravvivenza? Tutte queste domande hanno orientato il progetto di Biennale Gherdëina 9 e - in modalità, traiettorie e temporalità diverse - il lavoro degli artisti e artiste chiamati a parteciparvi.
Traghettato nel nostro tempo, l’archetipo dell’alleanza con le marmotte apre una riflessione sulla rottura dell’equilibrio interspecie perpetrata dalla civiltà contemporanea. Dall’analisi del nostro rapporto con gli animali non umani possiamo comprendere molto della più generale crisi del patto umano con la natura nella sua interezza, ma anche delle forme di discriminazione, controllo e violenza che affliggono la specie umana al proprio interno. Questo è ciò che sostengono le tesi antispeciste avanzate alla metà degli anni Settanta da autori e autrici come Peter Singer.[3] Tesi che, in tempi più recenti, sono state integrate e rielaborate all’interno di riflessioni filosofiche, nuovi studi antropologici e narrazioni interspecie arrivate ad abbracciare oggi l’intero campo del vivente.
Lo dimostrano le tesi antispeciste proposte da autori come Peter Singer a metà degli anni Settanta, che ancora oggi sono in grado di sfidare profondamente il nostro pensiero.
Nel ricostruire le antiche storie della tradizione orale dolomitica, Karl Felix Wolf attinse alla mitologia nordica - di cui la cultura del suo tempo era permeata, funzionale anche alla perpetuazione del mito imperiale austro-ungarico - perdendo di vista il forte legame di questi racconti con le antiche narrazioni mediterranee. La stessa Dolasilla, principale eroina della saga dei Fanes, che Wolff descrive come una sorta di valchiria conquistatrice, molto sembra avere in comune con la figura di Artemide siderale, la Dea greca della Luce Lunare che appare sotto le vesti della cacciatrice per proteggere la fertilità della natura.
Quelle ladine sono leggende che non parlano di creazioni - di esseri umani o di imperi - bensì di trasformazioni, di metamorfosi e di contaminazioni, celebrando la natura selvaggia, il ciclo “vita-morte-vita” e il rapporto complesso e profondo tra le diverse specie del mondo vivente. Rileggendo i miti da questa prospettiva, le Dolomiti - questi monumentali costoni di roccia riemersi dal mare, questi residui di giganteschi banchi di corallo affiorati 250 milioni di anni fa - da barriera, roccaforte o confine si fanno luogo di incontro, ricucitura e contaminazione.
Sovrapponendo allo sfondo delle antiche leggende dolomitiche nuovi racconti di montagna, di bosco, di migrazione, di animalità e di alleanze interspecie, The Parliament of Marmots abbraccia un campo di indagine che, insieme al continente europeo, si estende fino ai territori mediterranei del Nord Africa e del Medio Oriente, da cui le strutture totemiche alla base degli stessi miti ladini sembrano in massima parte derivare.
Secondo l’antropologa Anna Tsing, la capacità di fabbricare mondi non è prerogativa degli umani, per questo è necessario rivolgersi a modi di fare mondo o modi di esistenza al di là dell’umano. Ciò non significa adottare una prospettiva post-umana - dove l’umano scompare - ma aprirsi al racconto di storie “più-che-umane”, in cui gli umani perdono la propria centralità, nella consapevolezza che nessun organismo può divenire se stesso senza l’assistenza di altre specie.[4]
Cercando di ricomporre una visione possibile di questi mondi, Biennale Gherdëina 9 presenta un mosaico ibrido di proposte artistiche, aprendo alla possibilità di una ricucitura culturale e politica tra Alpi e Mediterraneo, tra origini e prospettive, e deconcettualizzando l’idea di natura a vantaggio di una dimensione narrativa, esistenziale, del selvaggio al tempo del “capitalocene”.[5]
Lorenzo Giusti
*estratto del testo in catalogo
[1] Il “Parlamento delle marmotte” è il nome assegnato negli anni Cinquanta del Novecento all’anfiteatro naturale sull’Alpe di Fanes, in Val Badia, dove, ancora oggi, nonostante la presenza umana, vivono numerosi roditori. La regione sotterranea dove, secondo le leggende ricostruite da Wolff, si sarebbero ritirati gli ultimi dei Fanes si trova invece nei pressi del Lago di Braies, nell’omonima valle, laterale della Val Pusteria.
[2] Cfr. Ulrike Kindl, Raccontare le origini, in Nicola Dal Falco, Miti ladini delle Dolomiti. Ey de Net e Dolasìla, Palombi editore, Roma 2012, pp. 199-258
[3] Cfr. Peter Singer, Liberazione animale, 1975, ed it. Il Saggiatore, Milano 2010
[4] Cfr. Anna Tsing, Il fungo alla fine del mondo. Le possibilità di vivere nelle rovine del capitalismo, 2015, ed. it. Keller Editore, Rovereto - TN, 2021
[5] Il termine “capitalocene”, introdotto da Jason W. Moore, è stato adottato da numerosi studiosi come una variante più coerente del termine “Antropocene”, capace di mettere a fuoco l’intreccio storico tra patriarcato, colonialismo e specismo all’origine della crisi ecologica in atto.
Zënza Sëida
Pontives 8
IT-39046 Ortisei, BZ
www.biennalegherdeina.it
info@biennalegherdeina.it
Press Office – Italy
Lara Facco P&C
+39 0236565133
press@larafacco.com
Press Office – International
Nicola Jeffs
+44 7794 694 754
nj@nicolajeffs.com
Siobhan Scott
ss@nicolajeffs.com
Press Office – Italy
Lara Facco P&C
+39 0236565133
press@larafacco.com
Press Office – International
Nicola Jeffs
+44 7794 694 754
nj@nicolajeffs.com
Siobhan Scott
ss@nicolajeffs.com